La trasformazione digitale dopo la pandemia

Con il termine “digital transformation” si intende generalmente un processo di adeguamento del modello organizzativo e di erogazione dei servizi di una organizzazione che nasce dalla necessità di rimanere competitivi nell’epoca di Internet, in cui beni e servizi sono scambiati sia nel mondo fisico che in quello virtuale. La digital transformation può avere sia caratteristiche semplicemente evolutive, quando si focalizza sulla riduzione dei costi di un processo che passa dalla dimensione paper based ad una dimensione più immateriale, sia essere rivoluzionaria, quando integrata da alcuni elementi tecnologici (es. Big data, AI). In questo secondo caso la trasformazione digitale diventa il contesto in cui nascono nuovi processi di business, sostenuta da una economia dei dati (in cui non necessariamente tutte le parti - chi fornisce il servizio e chi lo usa - hanno lo stesso peso e analoghi diritti). Tali nuovi processi consentono alle aziende e alle organizzazioni che accettano e vincono la sfida di poter conquistare nuovi mercati, offrendo servizi e prodotti più adatti (o perlomeno percepiti come tali, perché ad esempio personalizzati) da nuovi clienti.

In termini di esempio, la possibilità di inviare un documento contrattuale (come ad esempio la sottoscrizione di una polizza) ad una controparte (un'assicurazione) via email, dopo magari un processo di stampa, firma e scansione del documento, è un processo certamente più efficiente che non il dover organizzare un appuntamento, spostarsi fisicamente e firmare il documento in un luogo preposto (un’agenzia assicurativa). Ma è anche un processo che oggi, nei fatti, definisce un livello di servizio che molti clienti e consumatori si aspettano e chi lo fornisce non si differenzia dalla concorrenza. È evidente che in uno schema siffatto, se il consumatore e cliente è contento di non avere l’incombenza di dover firmare in presenza, rimarrà meno contento visto che, nei fatti, una parte del lavoro di ufficio (stampa del documento) è stata spostata su di lui. Tutto il processo sarà molto probabilmente il risultato di affinamenti successivi, con telefonate alla ricerca dell’indirizzo email a cui inviare i documenti, conversazioni via questo o quel social, generalmente con un approccio trial and error che difficilmente genera soddisfazione e tantomeno volontà da parte del consumatore di ripeterlo in futuro.

Già questo livello di digital transformation, che potremmo definire “obbligata”, non è comunque facilmente ottenibile da tutte le organizzazioni. Si pensi alle estreme difficoltà che si sono incontrate con il passaggio alla fatturazione elettronica (“Fattura elettronica, avvio a ostacoli: 6 su 10 incontrano problemi”, Il Sole 24 Ore del 23 Gennaio 2019), in cui i risparmi di gestione del documento cartaceo non sono stati apprezzati fin dall’inizio, tutt’altro, data la difficoltà delle organizzazioni ad adeguare i loro processi e sistemi informativi. Anche in questo frangente si è riscontrata una difficoltà di percezione del valore aggiunto in termini di risparmio di gestione del documento cartaceo, spesso dovuta alla difficoltà delle organizzazioni nell’ adeguare i propri processi e sistemi informativi.

Se quindi il panorama non è positivo e non favorisce la trasformazione digitale, cosa è successo con la pandemia? Durante il periodo del lockdown, sia la P.A. che la quasi totalità delle aziende operanti nel settore terziario, si sono trovate a dover riorganizzare le loro attività. Non tutte sono riuscite a garantire lo stesso livello di efficienza, nè tantomeno a cogliere i vantaggi di un ambiente qualitativamente diverso, che nasce da un contesto di lavoro remoto.

Nella figura sottostante, è riportato il numero di utenti e di firme digitali che sono state riscontrate nell’utilizzo del componente open source eSignature, sviluppato e rilasciato dalla Commissione Europea (presentazione di Apostolos Apladas, Trust Services Forum & CA-Day 2020). Si veda come, con l’inizio del lockdown, il numero di utenti attivi e di firme digitali sia cresciuto in pochi mesi di un fattore 5.

Numero di utenti e di firme digitali che sono state riscontrate nell’utilizzo del componente open source eSignature

Quello che molti hanno sperimentato durante il lockdown è stato che la digital transformation non fosse più semplicemente un “nice to have”, ma fosse piuttosto diventata una necessità vitale per imprese ed organizzazioni di ogni tipo e dimensione (dati analoghi si riscontrerebbero vedendo la crescita ad esempio di utenti nei sistemi di videoconferenza).

Questa necessità vitale è stata soddisfatta ricorrendo, anche da un punto di vista legale, ad una serie di deroghe. È stato ad esempio consentito il lavoro remoto a tutti i dipendenti, che si sono trovati nella necessità di dover utilizzare il proprio computer personale, la propria connessione Internet e in generale operare in un contesto operativo estremamente diverso da quello originario. Non può lasciare indifferenti il fatto che i dati della P.A., spesso estremamente delicati, siano stati processati su dispositivi di cui nessuno ha certificato la sicurezza.

Dobbiamo allora gettare il bambino con l’acqua sporca? È evidente a tutti che il lavoro remoto, opportunamente organizzato, può rappresentare un importante miglioramento sia della vita dei lavoratori (che dovranno perdere meno tempo nel traffico cittadino o sui mezzi pubblici), sia delle città (meno congestionate, più distribuite), sia delle aziende che potranno costruire modelli di lavoro più orientati alla produzione di qualità, proprio per raggiungere quel modello di personalizzazione estrema dell’offerta ai clienti che è un fattore competitivo di grande pregio.

Questo scenario richiede quindi di fare in poco tempo un cambiamento che sarebbe avvenuto, quantomeno e seppure, in tempi molto più lunghi. Questa digital transformation, per così dire d’imperio e di necessità, va gestita ed organizzata a livello di sistema paese, avendo chiare alcune direttrici lungo cui si deve incanalare, a cominciare dal fatto che deve essere orientata all’aumento di produttività (un tema sempre assente, e infatti un risultato sempre mancato, dal sistema produttivo italiano negli ultimi venti anni circa), dal rispetto dei diritti dei lavoratori e dalla definizione di un contesto sicuro, in cui queste grandi praterie digitali che si andranno a creare non diventino un far west in cui predoni potranno violare sistemi informatici sempre più distribuiti, eterogenei e complessi.

Questo processo va accompagnato e guidato, sostenendo anche finanziariamente le imprese che dovranno necessariamente abbracciarlo, anche tramite misure economiche di sostegno, sotto forma di sgravi di imposta (se non veri e propri voucher) che vadano ad intervenire sulle dotazioni infrastrutturali e sul capitale umano delle nuove imprese e dei nuovi lavoratori che vogliamo aiutare in questo passaggio.

Perché questo processo sia efficace, cioè aiuti a cogliere l’aspetto di innovazione profondo e non sia solo un adeguamento di controvoglia al new normal, occorre che esso sia ben focalizzato, sostenendo gli elementi e le componenti che rendono la trasformazione digitale sicura, e non semplicemente possibile. Su alcuni di questi temi, l’Italia è sempre storicamente stata all’avanguardia, grazie a leggi (la c.d. legge Bassanini) varate sul finire degli anni ‘90. Si è creato nel tempo un ecosistema di aziende innovative che oggi sanno trattare e gestire processi e documenti informatici garantendo alti livelli di integrità e riservatezza. La digital transformation che vogliamo realizzare deve certamente coprire i bisogni basici di chi lavora da casa, dotandolo di un computer e di una connessione, ma deve anche far sì che le informazioni gestite siano protette, e che i processi aziendali critici siano qualificati.

La trasformazione digitale o è sicura o non è trasformazione digitale. Sta a noi cogliere oggi l’opportunità che abbiamo di dare uno stimolo forte all’economia italiana migliorando processi aziendali che non realizzano gli obiettivi di produttività ormai ineludibili nella competizione internazionale.